E’ compatibile il contenitore carcere con il concetto di rieducazione previsto dall’art.27 della Costituzione? E in caso affermativo, a quali condizioni? “Se ci fossero per tutti le stesse opportunità che ho avuto io, se ci fossero biblioteche, lavoro, teatro, cultura per tutti, le carceri si svuoterebbero e da lì uscirebbero uomini nuovi, rieducati e recuperati alla società civile”. Questa la conclusione – tirata da Salvatore Striano,
il “Bruto” del film “Cesare non deve morire” dei fratelli Taviani, 
emersa dal dibattito che si è svolto mercoledì scorso al convegno organizzato dall’Associazione “A Roma, Insieme – Leda Colombini” con il sostegno dell’ Assessorato alla Cultura di Roma Capitale alla Protomoteca del Campidoglio, dal titolo “In carcere si fa cultura. La dialettica Debito/Credito nelle relazioni umane. Striano dopo aver scontato 17 anni in varie carceri italiane per i reati commessi fin dall’età di 12 anni (“vendevo le sigarette ai carabinieri, non pensavo di compiere un atto illegale…”) e dopo essersi formato come attore teatrale nella prima compagnia di teatro di Rebibbia messa in piedi da Cosimo Rega insieme al regista, Fabio Cavalli, oggi vive libero, con i proventi della sua nuova attività ed è un esempio vivente, accanto a Cosimo Rega, camorrista che di anni ne ha scontati 35 dopo essere stato condannato al carcere a vita, di come anche il più “abietto” degli assassini, se adeguatamente sostenuto all’interno del carcere, oltre che da sé stesso, anche da progetti rieducativi, possa trovare la forza di “riscoprirsi” come una persona totalmente nuova, migliore.

Tutto questo, però, rappresenta una piccola goccia nel mare perché , anche dopo i provvedimenti presi dal nostro governo per evitare la pesante sanzione prevista dalla Corte Europea di Strasburgo, che hanno cercato di porre rimedio alle situazioni più penose, il numero dei detenuti che riesce a usufruire delle attività portate avanti esclusivamente dalle associazioni di volontariato o a lavorare, rappresenta una minoranza davvero esigua. Ecco che in carcere si viene a creare la situazione di debito – credito alla quale fa riferimento il titolo del convegno: lo ha spiegato bene nel suo intervento di apertura la professoressa Luciana Scarcia, volontaria dell’Associazione che da 10 anni si occupa del laboratorio di lettura e scrittura a Rebibbia: “la detenzione è una sorte di tributo che l’autore del reato deve pagare – ha detto – alla società per aver violato la legge. I mesi e anni della pena quantificano il debito contratto con la collettività, ma se consideriamo le condizioni reali in cui si trovano le nostre carceri, il presunto equilibrio che l’espiazione della pena dovrebbe ristabilire non si verifica. Ecco che, allora, la tematica debito credito impone alla società civile una riflessione sui modelli culturali, sull’etica vigente”.

Il convegno è stato aperto dalla Presidente dell’Associazione “A Roma, Insieme”, Gioia Cesarini Passarelli, che ha letto ai partecipanti al convegno anche una lettera di apprezzamento per l’attività svolta dall’Associazione del ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Sono intervenuti, poi, il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni e Silvio di Francia, responsabile dell’Ufficio Diritti Fondamentali di Roma Capitale, in rappresentanza dell’assessorato e in particolare dell’assessore Flavia Barca che aveva finanziato l’iniziativa prima delle sue dimissioni. Alla prima tavola rotonda, moderata da Daniela de Robert, giornalista Rai e presidente Vic Caritas, è intervenuto Luigi Pagano, vicecapo vicario del Dap, che ha riconosciuto: “se non era per la corte di Strasburgo non avremmo fatto nulla per riequilibrare la situazione delle nostre carceri che erano e restano, comunque, sovraffollate. Ma ora – ha aggiunto – abbiamo una base di partenza migliore dalla quale partire: l’introduzione del concetto di pena alternativa che è stata fatta dal Ministro Orlando è molto importante. I riflettori non si devono spegnere per arrivare magari a un approdo finale in cui, mano a mano, il “contenitore” carcere scomparirà del tutto”. Un auspicio probabilmente condiviso dalla maggior parte dei presenti e in particolare dal Presidente onorario dell’Associazione Antigone, Stefano Anastasia che ha chiosato: l’istituzione carceraria può essere credibile solo se sa rispettare la dignità dell’essere umano in quanto tale. Dignità che attualmente viene riconosciuta – com’era un tempo – soltanto agli “alti dignitari”. Il presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi, ha messo in rilievo come “la crisi del welfare state abbia rafforzato il ruolo di “discarica sociale” da parte del carcere. Il pessimismo riguardo a un possibile miglioramento della situazione è d’obbligo – ha detto – l’unica funzione che vedo positiva è quella del volontariato che entra in carcere senza giudicare chi è già stato giudicato, con una capacità d’ascolto che permette a chi è recluso di uscire dall’isolamento”. Anche per un magistrato come il sostituto procuratore antimafia, Anna Canepa “l’esperienza fatta in carcere all’interno del laboratorio di scrittura di Rebibbia, dove sono stata chiamata da Luciana Scarcia – ha detto – è stata molto importante perché anch’io, come spesso accade ai magistrati, non conoscevo da vicino la realtà del carcere. Il direttore del carcere di Rebibbia, Mauro Mariani ha messo in rilievo come “l’esistenza di tre compagnie teatrali all’interno del penitenziario che coinvolgono molti reparti, compresa l’Alta Sicurezza, sia da collegare alla riduzione del tasso di recidiva”. Da tutte queste posizioni “dialoganti” ha preso le distanze l’ex magistrato Gherardo Colombo, intervenuto al convegno in apertura della seconda tavola rotonda moderata dal giornalista Rai Giorgio Zanchini, prossimo nuovo conduttore della trasmissione, Radio Anch’io.“Parlare di rieducazione in carcere – ha detto Colombo – è un controsenso per come viene inteso il carcere attualmente. Un posto dove non vengono garantiti i diritti fondamentali che devono essere comunque riconosciuti a chi delinque, in quanto essere umano: affettività, istruzione, spazio vitale, cura della salute. Che risultati abbiamo ottenuto in questi anni – si è chiesto – non garantendo questi diritti a chi ha commesso un delitto e che deve pagare per questo? La mafia per esempio con il 41 bis si è estinta? Al contrario – ha concluso – dicono molto i dati sulla recidiva che provengono dall’affidamento ai servizi sociali alternativo al carcere, che registrano numeri molto inferiori di quelli derivanti dalla restrizione in carcere”. Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti ha indicato come unica soluzione possibile “l’apertura delle porte del carcere all’esterno, al dialogo con chi sta fuori” anche per coloro che sono sottoposti al regime restrittivo del 41 bis che la dott.ssa Canepa aveva definito nel suo intervento “un male necessario del quale si è avuto molto bisogno in un determinato periodo”. Ma può essere un male necessario ridurre persone a non aver più nemmeno la capacità di parlare è stato il ragionamento della Favero – dopo qualche anno passato nello stretto isolamento? E’ decisivo, per capire – ha concluso – “vedere le cose con gli occhi dell’altro”. Leopoldo Grosso, vice presidente del Gruppo Abele, ha parlato delle misure alternative al carcere “che migliorano sia chi le riceve che chi le propone”. Lo scrittore e giornalista Pino Corrias ha ricordato sue esperienze di incontri in carcere che gli hanno confermato come la lettura e la scrittura “possano diventare una chiave di volta per il cambiamento delle singole personalità”. Filippo La Porta, critico letterario che ha partecipato anche ad alcuni incontri del laboratorio “dal quale ho ricevuto – ha detto – più di quanto possa aver dato”, ha tenuto però a sottolineare di essere “interessato ad approfondire il tema della pena come risarcimento, ineludibile per la natura umana”. Gli ha risposto in qualche modo il professor Luciano Zani, ordinario di Storia Contemporanea alla Sapienzache ha messo in evidenza come in genere “l’ottica in cui si muovono le nostre società spinge a fare attenzione al chi ha commesso il male e di chi è la responsabilità piuttosto che al contesto e alla condizione in cui si è trovato a delinquere quell’individuo”. Antonella Barone ha presentato l’operazione trasparenza sui dati che riguardano la situazione delle carceri, avviata dal ministero di Grazia e Giustizia con il nuovo portale.

L’ultima parte del convegno, la più movimentata, è stata dedicata al confronto tra ex detenuti come Salvatore Striano, Federico Abati e Cosimo Rega, e gli studenti di Scienze Sociali Applicate, Barbara Morsello, Teresa Auriemma, Eleonora Iacopini e Paolo Federico che hanno partecipato nel corso dell’anno al progetto del laboratorio di lettura e scrittura nel carcere di Rebibbia portato avanti da Luciana Scarcia, insieme all’Associazione “Libera” e alla facoltà di Sociologia dell’Università di Roma Sapienza e sostenuto dall’assessorato alla Cultura. Il risultato del progetto è stata una pubblicazione con lo stesso titolo del convegno, data in distribuzione al pubblico presente, che raccoglie 10 racconti scritti dai detenuti che hanno partecipato alle lezioni, Federico Mollo, Massimiliano Maiocchetti, Tommaso Marsella, Roberto, Mirco Martinelli, Antonio e Espedito.

Al dibattito ha preso parte anche il regista teatrale, Fabio Cavalli che da 11 anni mette in scena le rappresentazioni della compagnia teatrale di Rebibbia, il quale è intervenuto in modo forte e appassionato sia sulla condizione drammatica delle carceri italiane e sia su come possa incidere profondamente sulla personalità e sulla vita del detenuto la cultura in ogni suo aspetto, dall’attività teatrale, allo studio, alla scrittura. Interessante il punto di vista dei ragazzi che hanno parlato dell’opportunità avuta di “assistere negli incontri a una sorprendente umanità, evidente, torrenziale, come i fiumi di inchiostro sui fogli bianchi, accompagnata dall’acquisizione dalla consapevolezza di chi vive la detenzione. Attraverso percorsi partecipati di discussione e confronto, sono emerse importanti questioni fondamentali e universali – ha detto in rappresentanza degli altri Barbara Morsello – che forse soltanto mediante la sospensione spazio-temporale, ma soprattutto lo stimolo, possono affiorare”. L’appuntamento per tutti i partecipanti al laboratorio è già fissato per l’anno prossimo con tutti i 13 detenuti e possibilmente anche altri, che hanno già chiesto di poter frequentare un nuovo corso come percorso di crescita individuale.