L’attività di volontariato interno è momentaneamente sospesa fino a fine emergenza Covid-19
“Non possiamo entrare in carcere. È ufficiale. Ogni attività di volontariato interno è momentaneamente sospesa fino a fine emergenza Covid-19”.
Che fare?
A questa domanda avremmo voluto rispondere subito. Avremmo voluto rassicurare, alleggerire, sostenere chi, da dentro, cercava di capire cosa stesse accadendo fuori. E chi, da fuori, cercava di capire cosa stesse accadendo dentro.
Le attività sono sospese, è vero. Non ci sono – per ora – i sabati di libertà, non ci sono le feste o i colloqui, i laboratori o le aree verdi. Alcune delle madri sono uscite dal carcere insieme ai loro figli, ma altre, a Roma come nel resto d’Italia rimangono recluse.
Al “che fare”, abbiamo tentato di dare diverse risposte. La prima era quella di rivendicare pubblicamente, oggi più che mai, un principio essenziale: che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere. Che nessuna madre debba più vivere l’angoscia di proteggere un figlio in uno spazio ristretto, teso e potenzialmente patogeno. Che la detenzione domiciliare, l’accesso alle pene alternative e alle case -famiglia, diventino opzioni da considerare sempre e non solo quando fuori impazza l’emergenza.
La seconda risposta, più concreta forse, ci è stata suggerita da chi vive la tragedia del carcere pur non essendo recluso: le famiglie delle donne detenute. Molte di queste, infatti, vivono nel Campo Rom di Castel Romano, sulla Pontina. Per chi non lo conosce gli basti sapere che è lontano, molto lontano per chi -a piedi- deve raggiungere una farmacia o un supermercato. E questo, abbiamo imparato, non va d’accordo con la quarantena. Alcune di quelle famiglie hanno preso carta e penna e ci hanno aiutato a capire chi necessitasse di una mano. Da quella lista stropicciata fatta di nomi di bambini, vecchi, uomini e donne che vivono l’emergenza relegati ai margini della città, è nata una piccola catena umana. Volontari, amici, amici di amici, hanno contribuito a raccogliere e portare più di 50 pacchi di generi alimentari a quelle famiglie.
La terza risposta quindi, alla domanda iniziale, è la seguente: cercare di accorciare le distanze. Che siano tra il carcere e il fuori, che siano tra un campo e la città.