Secondo il XXI Rapporto di Antigone le istituzioni penitenziarie vivono una crisi strutturale:

62.445 detenuti, su 51.280 posti regolamentari, con un tasso di affollamento reale al 133 %, in oltre 58 istituti oltre il 150 %.
Celle in cui mancano spazi minimi, spesso meno di 3 m² a persona, con corpi ammassati e diritti compressi.

Il titolo “Senza respiro” non è retorica: è la fotografia di un sistema dove ogni giorno si respira a fatica. I detenuti vivono in spazi oppressivi, con tensione continua, servizi essenziali carenti e personale allo stremo. Le conseguenze sul benessere psichico sono devastanti:

Record di 91 suicidi nel 2024, il massimo nella storia recente; azioni di autolesionismo in aumento (+4,1 %) e tentativi di suicidio (+9,3 %).
Isolamento sempre più diffuso, con misure disciplinari che escludono i detenuti da ogni attività e possibilità di reinserimento. In più, il decreto “sicurezza penitenziaria” criminalizza persino le proteste pacifiche, con la conseguente esclusione dei partecipanti all’accesso a misure alternative oltre l’aggravarsi del clima repressivo.

Perché è urgente parlarne?

Questo rapporto smaschera una ferita profonda del sistema carcerario: l’assenza di umanità, di percorsi rieducativi, di respiro, di dignità. I detenuti non sono “numeri”, ma persone che vivono in sofferenza permanente.

Un carcere che non respira è un carcere che implode, a scapito dei detenuti e delle detenute, dei loro cari, degli agenti, dell’intera comunità costituzionale.

Condividiamo queste considerazioni perché il carcere smetta di essere un luogo di mera sopravvivenza.

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