Lettera congiunta per una riforma urgente della Legge 62/2011

Le scriventi organizzazioni chiedono con urgenza che la legge 62/2011, esempio di normativa innovativa e lungimirante al tempo della sua approvazione, venga oggi riformata per rispondere meglio alle esigenze dei bambini che vivono una condizione di detenzione al fianco delle loro mamme.

In particolare le stesse invitano il Parlamento a riattivare urgentemente il dibattito sul tema onde permettere l’approvazione di alcune modifiche all’attuale impianto normativo, non più rimandabili.

Obiettivi urgenti sono infatti: ridurre il numero di bambini (troppi) che ancora oggi varcano la soglia del
carcere anche quando questo potrebbe essere evitato, promuovere l’istituto delle Case Famiglia, oggi sola ed
unica reale alternativa alla detenzione, prevedere un impegno dello Stato anche in termini finanziari affinché
ai bambini sia dato effettivamente di ridurre al minimo l’esperienza della detenzione.

L’Italia deve disporre di una legislazione in materia di infanzia in grado di assicurare sempre il rispetto del superiore interesse del minore e questo, a maggior ragione se i bambini destinatari delle sue disposizioni vivono una condizione di estrema vulnerabilità, quale quella causata dalla detenzione con la propria mamma.

Nonostante la legge 62/2011 abbia introdotto delle forme di tutela nuove, in favore delle madri detenute con
bambini, sia in fase di custodia cautelare, sia di detenzione speciale, con l’istituzione delle Case Famiglia
Protette, tuttavia restano ancora molti i nodi da sciogliere.

Il principale problema, infatti, è che oggi i bambini possono ancora varcare la soglia del carcere sia in via
cautelare, sia in esecuzione pena della madre.

Al 30 giugno 2020 in tutta Italia le madri detenute con al seguito bambini sono 29 per un totale di 32 bambini, pochi se comparati alla popolazione carceraria complessiva e pur tuttavia assolutamente troppi se si considera che si potrebbe evitare per molti di loro la sofferenza del carcere.

Di questi bambini, infatti, ben 20 sono ancora nelle carceri e 12 negli Icam.

Va ricordato che gli Icam, per quanto siano espressione di una detenzione attenuata, restano tuttavia strutture carcerarie, pertanto non idonee ad accogliere o crescere dei bambini.

Inoltre, l’introduzione degli ICAM di cui alla L.62/11 ha innalzato da 3 a 6 l’età dei bambini che possono
esservi accolti con evidenti ripercussioni sul piano della tutela del superiore interesse de minore.
Una cosa, infatti è crescere in una Casa Famiglia altra, invece, è crescere in un carcere, per quanto attenuato.

 

I PROBLEMI

Questi i fattori che contribuiscono a rendere il quadro di tutela dei bambini detenuti con le madri lacunoso e
non aderente al superiore interesse del minore:

– Accesso dei bambini in carcere anche per motivi cautelari in quanto la custodia cautelare in carcere
per la madre con bambino sino ai 6 anni è prevista ove sussistano esigenze cautelari di particolare
rilevanza; questo significa far accadere al carcere bambini in una età in cui non hanno bisogno solo
della madre ma anche di rapporti e stimoli con il mondo esterno.

– Accesso dei bambini in carcere in fase di esecuzione pena.

Pur avendo la legge 62/2011 introdotto le Case Famiglia Protette, il loro ricorso è limitato. Se
sussistono gravi motivi il giudice può infatti disporre l’esecuzione pena in un ICAM (Istituti
Custodia Attenuata per Madri). Negli ICAM i bambini possono stare sino a 6 anni, perché la legge
62/2011 ha innalzato l’età da 3 a 6 anni.

Ove non sussistano i requisiti per entrare in un ICAM, la pena viene eseguita in carcere e il bambino
segue la madre.

– Ricorso alla soluzione degli ICAM anche in casi in cui madre e bambino potrebbero avere accesso
alle Case Famiglia.

– Assenza di percorsi stabili di uscita dall’Icam (e/o dal carcere) per i bambini ivi reclusi atti a
garantirne l’inserimento educativo, sociale e culturale nel tessuto della comunità;- Assenza di progetti individuali dedicati al bambino su cui fondare e pianificare la sua vita in carcere e successivamente la sua uscita e frequente esclusione della madre dalla costruzione di questo percorso;

– Mancanza di progetti per favorire legami esterni al carcere a supporto del bambino e della
genitorialità (ad esempio con famiglie potenzialmente affidatari e/o risorsa);

– Confusione circa la natura delle Case Famiglia che dovrebbero accogliere madri e figli in esecuzione
penale esterna. Il termine ‘Protette’ infatti non è precisato nella normativa (non si prevedono cioè
servizi speciali al suo interno) e non è vincolante.

In molte Regioni si sono utilizzate case famiglia ‘normali’ e ben qualificate, a dimostrazione che la
norma rischia di inibire e limitare l’uso delle case famiglia in maniera veramente diffusa.

Quindi il termine ‘protetta’ rischia di creare confusione.

– Assenza di obblighi finanziari a carico dello Stato rispetto al sostentamento dei bambini e madri
detenuti che dovessero essere accolti in Case Famiglia.

LE NOSTRE RACCOMANDAZIONI E PROPOSTE

1. Che si riduca quanto più possibile l’accesso di bambini al carcere, comprendendo con questo termine
anche gli Icam, favorendo il ricorso alle Case Famiglia.

2. Che il ricorso agli Icam (sia in via cautelare che in esecuzione pena) sia limitato ai casi di
eccezionale gravità, onde evitare che bambini possano ancora varcare la soglia del carcere.

3. Che i bambini siano fatti uscire dagli ICAM assolutamente ai 3 anni e comunque si favorisca la loro
uscita anche già dal primo anno, ove possibile

4. Che il bambino a partire dal 9° mese di età sia inserito in via obbligatoria nei servizi della
primissima infanzia del territorio onde garantirne il pieno ed equilibrato sviluppo fisico, psicologico
e relazionale con la comunità dei pari e con l’esterno.

5. Che siano previste risorse ministeriali per l’accompagnamento del bambino all’esterno per la
frequentazione del nido e/o scuola materna e ciò non sia lasciato solo alla discrezionalità e
solidarietà del volontariato, stante l’importanza cruciale che questi servizi rappresentano per il
benessere del bambino. A meno che si stipulino accordi interistituzionali e si offrano finanziamenti
al volontariato stesso.

6. Che sia garantito un raccordo ed una progettualità condivisa tra i servizi del carcere e del territorio,
con coinvolgimento diretto della madre, volto alla costruzione del percorso di uscita del bambino
dal carcere.

7. Ove questa prassi ancora non c’è, che siano individuate soluzioni di accoglienza del bambino, che
possano essere condivise con la madre, al fine di favorire una previa costruzione di un rapporto di
fiducia e conoscenza, della famiglia affidataria ad esempio, essenziale per aiutare il bambino a
percepirla come nuovo ‘luogo’ di affetti e protezione.

8. Che nell’ottica di ridurre al massimo la frequentazione dei luoghi carcerari da parte del bambino,
siano favorite le attività ulteriori rispetto al nido e alla scuola dell’infanzia: laboratori, iniziative di
svago e gioco etc. In quest’ottica sia quindi promosso e favorito l’istituto dell’affidamento diurno
(affidamento ad una famiglia e/o singola persona individuata dal Comune che accoglie il bambino
durante il giorno, mentre la sera e in caso di malattia il bambino resta con la madre). Solo ed
esclusivamente per le residue ore in cui il bambino è costretto a frequentare il carcere si chiede che
tali attività siano previste anche al suo interno.

9. Che sia effettivamente promosso e reso accessibile l’istituto delle Case Famiglia, prevedendo
pertanto di:
– eliminare il vincolo normativo che prevede che la realizzazione delle Case Famiglia sia senza
oneri aggiuntivi per lo Stato
– prevedere il pagamento della retta del nucleo mamma – bambino a carico del Ministero o
dell’ente locale si cui insiste la Casa Famiglia

10. Che sia eliminato il termine ‘protette’ che induce a ritenere erroneamente che per poter fungere da
Casa Famiglia una comunità debba avere specifici requisiti che ad oggi non trovano un richiamo
nella normativa e dunque non sono vincolanti

11. Che sia quindi favorito l’accesso alle numerose strutture che oggi, presenti sul tutto il territorio,
possono fungere da Case Famiglia, avendo competenza ed esperienza nella cura, protezione e tutela
di nuclei mamma – bambino vulnerabili.

Associazione A Roma, Insieme – Leda Colombini”
Giovanna Longo
Presidente
La Gabbianellaù