La prima volta che partecipavo ad un progetto di questo tipo, la prima volta che mi confrontavo con loro che per tanto tempo ho immaginato e per tanto tempo ho pensato a cosa poter loro chiedere, per tanto tempo ho pensato di cosa con loro avrei potuto parlare e all’improvviso, una volta entrata nel nido di Rebibbia, tutti i pensieri che avevo fino a pochi istanti prima, sono svaniti. Un nodo alla gola, il mio immedesimarmi in loro e cercare di capire se al loro posto ce l’avrei fatta!
Siamo entrate nella sala comune, il tempo delle presentazioni e ci siamo tutte sedute in cerchio; davanti ad un buon gelato abbiamo iniziato a parlare. Il tema proposto da Maria Rita è stato “L’Ambiente” ma nessuna delle mamme sembrava interessata all’argomento, fino a che una di loro esplicitamente ci ha detto: “non ci importa niente di parlare di queste cose!” e da lì abbiamo iniziato a cercare di capire di cosa volessero parlare. Una donna prende la parola: “Come possiamo aiutare qualcuno che ci chiede aiuto?”, una domanda che credo nessuno di noi si aspettava, una domanda a cui è difficile rispondere, una domanda che probabilmente ci ha fatto perché di aiuto ne aveva bisogno lei. Abbiamo iniziato a parlare della mancanza che sentono dei loro mariti, dei loro figli e sentiamo la voce di colei che quando siamo entrate era sdraiata in un angolo, silenziosa, con gli occhi spaventati… non parla italiano, ma riusciamo a comunicare in inglese; parlando dei figli inizia un lungo pianto che sarebbe durato per tutte e tre le ore che noi saremmo rimaste lì.
È stato soprattutto in quel momento che mi sono sentita impotente, è stato come se non avessi più la forza di parlare, vedere quella donna disperarsi ha creato in me un magone quasi da convincermi che emozionalmente non avrei resistito per il tempo necessario. Maria Rita ha cercato poi di alleggerire gli animi cercando di trovare un argomento più allegro… Le donne erano prese, però, da ben altro!! Attendevano con ansia l’arrivo delle 17, ora in cui avrebbero potuto prendere lo stereo ed ascoltare dei cd con la musica che avevano richiesto; attirare la loro attenzione non era più facile.
Ecco arrivate le tanto attese 17, le mamme rom non stavano più nella pelle, avevano ben 3 cd pieni delle loro canzoni… una volta spinto il tasto “play” hanno iniziato a cantare, qualcuno ci ha mostrato qualche mossa di ballo ed altre si sono emozionate fino a piangere.
Abbiamo tenuto la musica di sottofondo mentre continuavamo a parlare e Maria Rita domanda: “Quale sarebbe per voi il carcere ideale?”
Le risposte sono state svariate, ma quasi tutte avrebbero voluto un po’ più di libertà con i loro bambini…
Una donna egiziana a questa domanda ha risposto: “non c’è un carcere ideale, il carcere è sempre carcere!”
Io non ho avuto modo di rispondere a questa domanda, ma probabilmente avrei detto: “il mio carcere ideale sarebbe quello che rieduca in maniera ottimale le persone che hanno commesso un reato. Credo che ognuno di noi abbia bisogno di una seconda possibilità!”