Leda Colombini (10 gennaio 1929 – 6 dicembre 2011)

Oggi, nel giorno in cui ricorre l’anniversario della morte di Leda (6 dicembre 2011),  i volontari di A Roma, insieme vogliono ricordarla con le sue stesse parole. Fu lei, infatti, a raccontare al professor Francesco Piva, alcuni dei momenti più intensi e rivoluzionari della sua esistenza. 

Il brano che segue è tratto dal volume “La storia di Leda, da bracciante a dirigente di partito”, Francesco Piva, Franco Angeli, 2009.

“ Nel 1950 abbiamo fatto in tutte le province le assise delle mondine e mi ricordo sempre quella fatta a Modena. Ho concluso quell’assemblea e, ad un certo punto, mentre stavo parlando, ho sentito un tramestio sul palco: siccome io avevo ricordato la violenza della polizia e gli operai morti, la polizia bloccò tutte le uscite del teatro e voleva arrestarmi subito, proprio lì, il segretario della Camera del lavoro e tutti gli altri dirigenti naturalmente dissero: “No, ora la fate finire e poi dopo…”. Sai, allora ti processavano per direttissima e ti davano come minimo due anni! Ma lì mi hanno salvato le mondine. Quando ho finito il discorso, mi hanno tirato giù la crocchia di capelli, mi hanno dipinto le labbra, mi hanno truccato, invece del mio cappotto me ne hanno messo un altro…insomma, mi hanno trasformata e alla fine mi hanno detto: “Vai, vai”. Siamo quindi passate davanti a due poliziotti che sorvegliavano le uscite e non mi hanno riconosciuto! Quindi ci avviamo… e poi, c’era una compagna che mi assomigliava un po’…sai queste facce quadrate, emiliane, che un po’ si assomigliano, almeno nei tratti…avevano preso questa Adele e dicono: “Lei è Leda Colombini?” – “No, io non sono Leda Colombini” – “Lei è Leda Colombini!”. Quindi hanno fermato questa Adele convinti che ero io; intanto io invece ero arrivata alla Camera del Lavoro. Lì c’era un passaggio che, scendendo, andava in un garage. Il tipo del garage disse: “questa è la bicicletta, monta e vai!” – “Ma dove vado?”; “Tu vai!”. Allora andai e dopo un paio di km fatti con questa bicicletta, qualcuno mi si accostò con la macchina e disse: “Lascia la bicicletta”. Sulla macchina c’erano i miei appunti, la mia borsa, il mio cappotto, tutto quanto…e così mi portarono a Bologna a prendere il treno”.